Missive dalle mura - 2
“Nel 1980 studi del pentagono hanno dimostrato che la narrazione a fumetti è ancora il sistema migliore per comunicare informazioni comprensibili e memorizzabili.
Poiché le parole sono la valuta del nostro cervello sinistro “verbale” e le immagini quella del cervello destro “preverbale”, forse la lettura dei fumetti stimola entrambe le metà a lavorare all’unisono?”
Leggere qualcosa di Alan Moore ha sempre un duplice effetto. Da una parte mi riempie di gioia, perché conferma le migliori ipotesi sulle potenzialità del fumetto come mezzo espressivo. Dall’altra mi deprime, perché le suddette potenzialità sono sfruttate così a fondo e in modo talmente appropriato e consapevole da far impallidire buona parte della produzione mondiale e, ovviamente, da far scomparire per la vergogna i miei piccoli progetti.
Ma questo è l’effetto che fa il lavoro di un genio.
E Promethea è un’opera di genio. Di due geni, in realtà.
La storia di Sophie Bangs è un viaggio magico all’apparenza, un viaggio interiore in realtà, che parlando di supereroi, storie, spiritismo, religioni, cabala, alchimia e magia non fa altro che rivelarci noi stessi, aiutandoci a comprendere ed esplorare il nostro inconscio.
Ogni capitolo straborda di invenzioni, verbali e visive, nella narrazione o nella costruzione della tavola o nello stile utilizzato. J. H. Williams III è l‘altro genio a cui accennavo prima e senza i suoi disegni (o dipinti, o collage, eccetera) Promethea non sarebbe stata la stessa cosa.
E queste trovate raramente sono di maniera, mentre spesso sono dettate dalle necessità narrative, in un crescendo di genialità (o pazzia) che culmina nell’epilogo.
Non più un fumetto, ma un rito magico di parole e immagini, un po’ come La voce del fuoco era un rito magico travestito da romanzo.
Promethea arricchisce spiritualmente. E ci rende persone migliori.
Insomma, grazie agli Dei per aver donato Alan Moore al fumetto. E al contempo… dannazione.
P.s. A Lucca ho comprato il volume conclusivo, il 5.